Le elezioni di Ostia permettono di fare alcune riflessioni sul pericolo fascista oggi in Italia e sui migliori mezzi per contrastarlo.
Domenica 5 novembre si sono svolte le elezioni ad Ostia, uno dei municipi in cui è diviso il Comune di Roma. Una lista fascista, presentatasi alle elezioni, ha ottenuto 4.862 voti, mentre nel 2016, alle elezioni per il Comune di Roma, la stessa lista ne aveva ottenuti 1.150. In termini percentuali, questi fascisti sono passati dall’1,99 al 7,69 per cento.
Questi risultati danno un’impressione contraddittoria: il raggruppamento fascista ha più che raddoppiato i voti, ma in termini percentuali appare quadruplicato. Questo è possibile perché il numero dei votanti è bruscamente calato, passando dal 56,1 del 2016 al 36,1 del 2017. Un tracollo della partecipazione al rito elettorale, su cui ha certo influito il lungo commissariamento e il maltempo che ha flagellato il litorale romano per la prima parte della giornata di domenica.
La crescita dei fascisti, quindi, si accompagna alla crescita dell’astensionismo. Quindi, anche i fascisti cantano vittoria e se i mezzi di comunicazione li considerano i veri vincitori delle elezioni; possiamo ritenere che la loro demagogia razzista e interclassista, le violenze e il sostegno della mafia locale non sono riusciti, per ora, a fare breccia in quegli strati popolari e proletari che hanno perso la fiducia nel metodo elettorale. Ci troviamo di fronte ad uno spostamento di voti, un rimescolamento all’interno della destra (M5S, Forza Italia, Fratelli d’Italia); al cui interno venature fasciste, revisioniste, razziste e integraliste non mancano certo, accomunate alla paura del rosso e della classe operaia.
Quindi questo risultato, se ci dice qualcosa sulla incapacità dei fascisti di fare breccia (per ora) fra i ceti popolari, ci dice anche che la classe dominante e i suoi servi si rivolgono al fascismo per spingere all’estremo lo sfruttamento e la repressione nei confronti del resto della società, il fascismo, per le classi privilegiate, è la forma politica con cui rispondono all’intensificarsi della lotta di classe, alla crisi del controllo sociale.
Tutto bene quindi? Tutt’altro. Se la demagogia non riesce a fare breccia, i fascisti hanno sempre a disposizione la violenza per fare breccia fra l’opposizione delle masse, e proprio il litorale romano vede da anni episodi violenti, aggressioni contro attivisti o simpatizzanti antifascisti, che hanno portato anche a omicidi, che frettolosamente gli inquirenti hanno considerato risse.
Si tratta quindi di non abbassare la guardia, e di contenere i gruppi fascisti con ò’antifascismo militante, l’autodifesa di massa e la controinformazione.
Questo però rischia di non essere sufficiente.
Quegli stessi ceti popolari e proletari che hanno perso la fiducia nel metodo elettorale, che sono refrattari alla demagogia fascista più o meno mascherata, sono le vittime delle politiche fasciste che i governi italiani, da quelli di destra, a quelli tcnici fino a quelli di centrosinistra, si acaniscono contro le condizioni di vita e di lavoro, contro le libertà collettive ed individuali. Le riforme fiscali, il prolungamento del tempo di lavoro, il taglio dei salari, i regali all’oligarchia finanziaria, la politica di guerra all’estero e nelle strade sono tutti esempi della crscente fascistizzazione delle istituzioni. Una fascistizzazione di cui non sono responsabili i nostalgici, i fascisti del terzo millennio: il primo responsabile della politica di fascistizzazione è il Partito Democratico.
Ecco allora che ingigantire il pericolo delle liste demagogiche, razziste, integraliste, fasciste e lanciare appelli all’unità, in vista di un “voto utile” per fermare il pericolo fascista, appelli che coinvolgono anche esponenti del PD o comunque coinvolti nelle politiche antiproletarie, finirebbe per favorire la fascistizzazione dello Stato, i veri fascisti che hanno governato in questi ultimi anni. Soprattutto, chi si facesse portatore di una più o meno velata alleanza con il Partito Democratico, perderebbe ogni possibilità di conquistarsi un ascendente nei confronti delle grandi masse che non vanno più a votare, che hanno perso fiducia, in primo luogo, proprio nel Partito Democratico, e aspettano una indicazione concreta di lotta, e non un generico richiamo a quei valori che hanno mascherato l’attacco alle conquiste del movimento operaio.
Chi oggi continua a fare affidamento nel metodo elettorale, chi cerca alleanze con i responsabili delle politiche di guerra e di miseria, è in realtà il migliore amico del fascismo, perché in fondo preferisce uno Stato, sia pure fascista, alla Rivoluzione Sociale.
Richiamare le autorità al rispetto della Costituzione, alla repressione dei fenomeni fascisti è un’arma a doppio taglio: per ogni manifestazione fascista vietata ce ne sono dieci degli oppositori delle politica governativa, c’è la crescente limitazione del diritto di sciopero, ci sono i DASPO urbani, i fogli di via, gli sgomberi. La repressione del fascismo folkloristico è quindi un’altro aspetto della fascistizzazione dello Stato.
I presidi antimilitaristi del 4 novembre, che quest’anno sono stati fatti propri anche dalla rete NonUnaDiMeno, e gli scioperi del 27 ottobre e del 10 novembre indicano la strada su cui lavorare e dal cui rafforzamento può svilupparsi l’azione antifascista. Sul terreno dell’autorganizzazione e dell’azione diretta
Tiziano Antonelli